In lingua Malay è l’orangutan: l’uomo della foresta. Questo è il nome che le popolazioni locali hanno dato alla grande scimmia rossa che vive tra il Borneo e Sumatra. Così dovette apparire ai primi uomini che ebbero la fortuna di intravederla tra i rami intricati delle foreste pluviali: un essere dalle sembianze umane che aveva la capacità di muoversi nella foresta con grande destrezza.
L’orango, forse più di tutte le altre scimmie antropomorfe, somiglia a noi umani. Lo avranno pensato le migliaia di visitatori avvicinandosi al vetro del recinto che ospitava la nostra Martina. Lei adorava quegli occhi curiosi che la scrutavano, quelle mani impazienti che cercavano un contatto impedito solo da un sottile strato siliceo. Era una prima donna e cercava attenzione in tutti i modi fino ad arrivare a rubare il pubblico alla sorella Zoe. Con un deciso spintone la allontanava e sedeva di fronte alla famiglia o alla scolaresca al di là del vetro.
Zoe era abituata a quella sorella un po’ prepotente, dal carattere esuberante e dall’irrefrenabile vizio di rubarle le cose, soprattutto quelle che le piacevano molto. Ad esempio, le nocciole nascoste nello scatter feeding: un dispenser che prevede impegno e un certo ingegno per raggiungere il premio in cibo (un modo per tenere l’intelletto degli animali attivo).
Raggiungerle non è facile, bisogna usare un bastoncino per spostare la nocciola dal piano più alto della scatola, attraverso un percorso fatto di vari ripiani bucati, fino a farla precipitare in quello più basso accessibile alle dita. Troppo difficile, troppo impegnativo.
Martina aspettava che Zoe decidesse di mangiare qualche nocciola, si avvicinava silenziosa, osservava disinvolta la sorella che con destrezza faceva scivolare la nocciola verso il basso e quando finalmente il frutto compiva l’ultimo decisivo balzo allungava la mano e rubava. Zoe con tanta, tanta pazienza ricominciava daccapo.
Ancora più impertinente era quando ad ora di pranzo divorava la sua porzione di frutta quasi ingozzandosi e poi si avvicinava a Zoe che lenta stava assaporando le sue mele, le pere e le banane zuccherine. Le si sedeva difronte, allungava le mani e senza chiedere permesso le apriva la bocca per prenderle la frutta. Solo raramente i guardiani hanno osservato Zoe ribellarsi.
In natura gli oranghi sono animali solitari, ma questo è vero soprattutto per i maschi. Le femmine restano accanto ai propri figli a lungo, fino a 8 anni. Solo le mamme umane hanno questo “privilegio”. Non è raro, quindi, che ci siano gruppi formati da una femmina e uno o due figli. Per lungo tempo Petronilla ha vissuto con le sue due figlie: Zoe e Martina. Il legame tra di loro si è conservato forte e stabile oltre quel tempo che in natura le avrebbe spinte ad allontanarsi le une dalle altre. Forse la pazienza di Zoe risiede in questo legame.
Un legame che a volte sfociava in giochi quasi umani che hanno lasciato nei ricordi di chi li ha osservati un sentimento di grande tenerezza. Un lenzuolo disteso sopra le teste delle due sorelle come a formare una capanna che le isolava dal resto del mondo. Martina lo faceva scivolare via e Zoe lo riportava nella posizione originale, andava avanti così per molti minuti. Chissà se lì sotto ridevano.
Molti sono i comportamenti che abbiamo osservato tra i nostri oranghi che hanno un riscontro con quelli naturali. Martina non dormiva se non aveva il suo bidone. Spesso lo trascinava da una parte all’altra del recinto e quando era stanca ci si infilava dentro, si copriva la testa con un telo di juta e si addormentava. In natura questi animali sono soliti dormire ogni notte in un posto diverso e ogni volta costruiscono un nido in alto tra i rami degli alberi. Zoe ha sempre preferito costruire il suo nido nel truciolo di legno che i guardiani non fanno mai mancare nel recinto, anche Martina costruiva capanne con questo materiale mai per dormirci però.
Altri comportamenti non sappiamo quanto siano paragonabili a quelli naturali, sicuramente ricordano abitudini umane: tra quelle che ci fanno saltare i nervi. Ogni sera con grande pazienza i guardiani aspettano che i loro “colleghi” non umani facciano rientro nei ricoveri notturni. È necessario che sia così per questioni di sicurezza, ma anche per il loro benessere. Quelle stanze sono riscaldate d’inverno. Ogni sera quel rituale è tanto necessario quanto faticoso, soprattutto se dall’altre parte del vetro c’è un orango dispettoso come Martina. «Ci faceva impazzire», dice Benedetta, «e anche morire dal ridere», aggiunge Sara. Loro Martina la conoscevano bene e sapevano quanto le piacesse grattarsi la schiena, il mento e le guance con gli spazzolini da cucina. Una passione così forte da spingerle a montare un grande spazzolone nero su uno dei pali in legno presenti nella struttura esterna. Un tentativo fallito del tutto perché Martina aveva continuato a preferire sempre il piccolo spazzolino da cucina per farsi i grattini. Lo preferiva sempre tranne nel momento in cui Benedetta e Sara la richiamavano nel suo ricovero notturno. In quel momento, proprio in quel momento le prendeva un’irrefrenabile voglia di grattarsi la schiena sul grande spazzolone e lo faceva con tutta la calma e l’impertinenza di cui era capace. Sara e Benedetta aspettavano pazienti.
Martina ci mancherai e mancherai a tutti quelli che negli anni sono venuti al Bioparco per incrociare il tuo sguardo.
Biruté Galdikas* scriveva nel suo Reflection of Eden «ho guardato un orango selvatico negli occhi e lui ha ricambiato il mio sguardo. È un’esperienza quasi indescrivibile… Comunicare con un esemplare selvatico di una specie diversa significa intravedere un’altra realtà».
Ci auguriamo di poter continuare a guardare negli occhi questi animali che in natura stanno scomparendo velocemente. Ci auguriamo che il ricordo dello sguardo di Martina possa spronare tutti quelli che lo hanno incrociato a battersi per la salvezza del nostro pianeta.
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